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martedì 22 gennaio 2013

GIOVANNI PIANORI

GIOVANNI PIANORI
di Enzio Strada
"Giovanni Pianori detto il Brisighellino nacque il 16 agosto 1823 a S. Martino in Poggio, comune di Brisighella.
I suoi genitori ebbero 15 figli. Nel 1838, la numerosa famiglia si divise: un nucleo rimase con il padre a Brisighella, e, l'altro (con la madre) si trasferì a Faenza dove le occasioni per far apprendere un mestiere ai figli erano più numerose.
Insieme col fratello Senesio, Giovanni fu avviato al mestiere di calzolaio presso la bottega di Sante Padovani: uomo integerrimo e profondamente religioso.
Il 16 gennaio 1845, Giovanni Pianori sposò la figlia di quest'ultimo, Virginia.
Il 3 maggio 1847 egli divenne padre di una bambina, Angela.
Di sentimenti repubblicani, il Brisighellino prese parte attiva alla Prima Guerra di Indipendenza nel 1848 e, a Roma, combattè con Garibaldi alla difesa della Repubblica Romana affossata dalle armi inviate da Napoleone III.
Da quel momento l'Imperatore francese fu considerato da tutti i patrioti un "traditore".
In effetti, da carbonaro e repubblicano quale egli era, Luigi Napoleone aveva partecipato in Romagna ai moti del 1831 e nel 1848 era stato eletto Presidente della Repubblica Francese da lui egualmente tradita con il Colpo di Stato del 1851.
Per i patrioti italiani e francesi un simile traditore e tiranno meritava la morte. Mazzini non ne faceva mistero perché era lui l'ostacolo all'avvento di un'Italia Libera, Indipendente e Repubblicana.
Il Brisighellino, nella primavera del 1855, si fece strumento di un piano ideato dall'esule genovese secondo il quale l'attentato a Napoleone doveva essere la scintilla per un moto di portata europea da cui sarebbe scaturita la nostra Unità Nazionale.
Sabato 28 aprile Pianori sparò due colpi di pistola (andati a vuoto) contro Napoleone III che, a cavallo, percorreva i Campi Elisi.
Immediatamente arrestato, Giovanni dichiarò subito la sua vera identità rifiutandosi però di fornire i nomi dei complici nonostante lo avessero sottoposto ad una falsa fucilazione nel tentativo di farlo parlare.
Una settimana dopo, lunedì 7 maggio, il Brisighellino subì un sommario processo:
a) non gli diedero l'interprete pur essendo evidente che il romagnolo conosceva pochissimo la lingua francese;
b) non gli fu preventivamente mostrato il contenuto dei documenti inviati erroneamente dalla Segreteria di Stato Vaticana e che non riguardavano lui, ma il fratello Senesio;
b) gli fu assegnato un difensore di ufficio che, invece di difenderlo, si comportò come chi dovesse sostenere "l'accusa;
La Corte di Assise di Parigi lo condannò a morte (la pena dei parricidi) mediante ghigliottina.
La sera di domenica 13 maggio 1855, Pianori fu trasferito dalla prigione della Conciergerie a quella della Roquette per esservi decapitato l'indomani mattina, all'alba.
Durante la notte, le Autorità gli promisero salva la vita se avesse fatto il nome dei complici.
Pianori non tradì nessuno; si limitò a dire: "Saprò morire".
Quando fu in cima al patibolo, egli gridò forte "Viva la Repubblica, Viva l'Italia".
Negli Scritti di Mazzini il nome di Giovanni Pianori ricorre molto spesso e sempre con molta stima per lo sfortunato romagnolo.
In una lettera al Direttore dell’Italia e Popolo del 30 giugno 1855, Giuseppe Mazzini gli rese onore con parole che egli raramente aveva usato: Pianori era stato capace "di osare e morire" (espressione ripresa nel titolo del libro di Enzio Strada).

Presentazione del volume
"Osare e Morire" per l'Italia e Mazzini
GIOVANNI PIANORI
detto il Brisighellino
interverrà l'autore ENZIO STRADA 
introdurrà ANDREA DOLCINI (Corriere di Romagna)
Giovedì 31 gennaio 2013 ore 20,00
ROTARY FAENZA


Enzio Strada
Enzio Strada iniziò ad interessarsi di Giovanni Pianori fin dai tempi degli studi universitari.
Dapprima le sue ricerche si sono svolte presso Archivi di Stato in Italia (Ravenna, Faenza, Firenze, Torino, Roma, Archivio Segreto Vaticano…), poi all’estero (Parigi, Chalon-sur Saône, Marsiglia, Londra…).
L’Affare Pianori, infatti,  ebbe nel 1855 - in piena Guerra di Crimea -  risonanza non solo europea, ma mondiale (perfino negli Stati Uniti e in Australia).
Il Brisighellino, un “illustre sconosciuto”,  mentre fu onorato dai nostri “Padri della Patria”: Garibaldi  e  Mazzini. 
Perché una figura così importante della nostra Storia Risorgimentale è finita nel dimenticatoio della storia o è stata quasi denigrata da quei pochi (Comandini e Zama, ad esempio) che l’hanno evocata?
Com’è stato possibile una simile ingiustizia?
La risposta è in questa meticolosa ricerca basata su documentazione inoppugnabile, in gran parte inedita.
Essa riserva “sorprese” e veri “colpi di scena” degni di un romanzo giallo perché fa emergere il lato meno nobile del Potere e la sua Ragion di Stato.
I Governi di Pio IX e di Napoleone III  non solo si accordarono, allora, per sbarazzarsi  di un patriota determinato e “scomodo” come  il Brisighellino, ma pure si accanì per rovinare anche tutti i suoi fratelli (ben sette!); due di loro furono spediti  all’Isola del Diavolo - nella lontana e famigerata  Caienna - da cui non fecero più ritorno. 

http://www.ibs.it/code/9788897550198/strada-enzio/giovanni-pianori-detto.htm

CARTA BIANCA EDITORE 0546 621977

domenica 13 gennaio 2013

1313-2013 700 anni della signoria dei Manfredi a Faenza

1313-2013
700 anni della signoria dei Manfredi a Faenza
L'arte di scoprire


Il 2013 è per Faenza un anno importante:
ricorrono i 700 anni dall'insediamento della signoria dei MANFREDI (1313-2013).

Il calendario è dedicato alla signoria faentina e descrive - con immagini e testi a cura di Patrizia Capitanio - un interessante percorso. Le 12 immagini attestano alcune tra le più significative commissioni manfrediane in ambito architettonico, pittorico, della miniatura e dell'ebanisteria, proponendo, in taluni casi, le effigie di importanti membri della famiglia Manfredi.

Patruno Franco - Per una teologia dall'opera d'arte


FERRARA - Palazzo Bonacossi
GIOVEDI 17 GENNAIO 2013 - ORE 18,00 
PRESENTAZIONE DEL VOLUME

Patruno Franco - Per una teologia dall'opera d'arte

In occasione del sesto anniversario della morte del sacerdote e intellettuale ferrarese, già direttore dell’Istituto di cultura Casa Cini. Nel suo scritto, attraverso opere d’arte fondamentali del ’900, l’autore sottolinea l’accoglienza della Chiesa nella sua missione di ascolto e dialogo, nella consapevolezza che occorre coniugare l’annuncio del Vangelo e della sua verità, cioé la persona di Cristo. Un viaggio in cui don Patruno si conferma interprete sapiente dell’innovativo rapporto tra arte e fede, instaurato col Concilio Vaticano II. Nel testo si richiamano le opere di artisti quali Caravaggio, Michelangelo, ecc.
Per Andrea Nascimbeni, cui è affidata l’introduzione, la critica d’arte fu per don Patruno «una sorta di militanza scelta e praticata sino all’ultimo respiro». La sua fu una scelta in favore di «Una disciplina solenne e complessa, volta a far comprendere come l’eccesso del godimento artistico sia tanto vicino al facile estetismo quanto ci allontani dal traguardo nella strada della conoscenza. Ma, detto ciò, si rimane ugualmente disorientati, seppure mirabilmente affascinati dai suoi percorsi, data la colluvie di sollecitazioni, di stimoli: un caleidoscopio di forme e di colori, di idee e di progetti».
Mentre nella postfazione Carlo Bassi scrive che «Queste pagine documentano la necessità teologica del bello e delle immagini e degli oggetti, belli e bene eseguiti, in funzione del culto e della liturgia».
Coordinamento editoriale curato da Giorgio Fiumi e Maria Paola Forlani.
Il libro, edito da Carta Bianca,
Fabio Terminali