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martedì 1 luglio 2014

DEBUSSY

Cliccando su questo link  puoi ascoltare la puntata dedicata a questo libro, tratta dal programma radiofonico "QUI COMINCIA" condotto da  ARTURO STALTERI
http://www.radio3.rai.it

 Musica e Storia
Musica e ideologia nella Francia di Debussy e altri saggi 
Carta Bianca Editore, 2014, pp. XV, 173.
Il libro è stato curato e tradotto da Eddo Cimatti
Contiene un’Appendice con i profili dei protagonisti delle vicende discusse nei testi.
Introduzione di Marco Gervasoni

Il libro propone cinque studi della recente ricerca musicologica americana e inglese su Claude Debussy. Jane Fulcher apre il volume con Il nazionalismo di Debussy e con Dire la verità al potere: l’elemento dialogico nelle composizioni di Debussy degli anni di guerra, seguono i saggi di Brian Hart, Debussy e la sinfonia: le sue opinioni sul genere e i primi giudizi della critica su La Mer, di Caroline Potter, Debussy e la natura e di Robert Orledge, Debussy e Satie.
I due saggi di Jane Fulcher indagano il percorso sociale, psicologico, politico e artistico di Claude Debussy e ne ricostruiscono l’esperienza creativa all’interno di un contesto. Il rifiuto delle sue origini sociali (nacque in una famiglia di condizioni modeste) e della sua educazione musicale (studiò al Conservatorio di Parigi e vinse il Prix de Rome affermandosi nell’ufficialità istituzionale), lo spinsero a definire se stesso in opposizione alla norma e a ricercare nuove fonti di ispirazione artistica. Questa sua capacità di “ripensare la musica”, come lucidamente l’ha definita Pierre Boulez, viene inoltre considerata sullo sfondo di un contesto più ampio, quello degli eventi intercorsi fra la Guerra franco-prussiana del 1870 e la prima Guerra mondiale e del fermento che tali eventi produssero nella vita musicale francese. La radicalità dell’indipendenza artistica di Debussy e l’incapacità di inserirsi nelle “categorie” sociali e musicali del suo tempo lo marginalizzarono e furono per lui causa di gravi assilli finanziari. Il rifiuto delle sue origini popolari, ma anche il rifiuto di quella “società” parigina di cui avrebbe potuto far parte dopo il successo e dopo il Pelléas, in una parola la sua marginalità sociale, lo condussero alla ricerca di altre radici che egli ritrovò nel principio di nazione, divenuto negli anni la sua unica certezza identitaria. La reinterpretazione sul piano creativo della tradizione storica e musicale francese fu, anche in questo caso, personale e non allineata alle ortodossie politiche. La riscoperta delle “radici” francesi e del passato nazionale lo portò inoltre a una riconsiderazione critica del suo stesso passato stilistico. La complessità del percorso artistico del compositore, la “polifonia” interiore dell’uomo e un’arte che sfugge alle classificazioni hanno disorientato critica e pubblico che lo hanno rinchiuso, apprezzandolo, nell’inadeguata categoria dell’impressionismo musicale.
Il saggio di Brian Hart su Debussy e la sinfonia propone un altro aspetto dell’evoluzione stilistica del compositore, quello del recupero del vituperato genere sinfonico nella composizione de La Mer. Dopo una breve introduzione al sinfonismo francese di quegli anni, anch’essa tracciata in rapporto al contesto culturale e politico, il saggio esamina le posizioni critiche espresse sulla sinfonia dal compositore, dai primi articoli sulla “Revue Blanche” agli ultimi scritti degli anni immediatamente precedenti la guerra. La sinfonia francese fra Otto e Novecento rappresenta per Hart un termine di paragone ineludibile per un giudizio più articolato su La Mer, le cui strutture e il cui modello retorico sono sostanzialmente ricondotti dall’autore ai modelli sinfonici di César Franck e di Vincent d’Indy.
Il saggio di Caroline Potter Debussy e la natura, affronta uno dei temi centrali della poetica del compositore francese. Debussy rifugge dal naturalismo imitativo e la natura da lui evocata è sottratta a ogni forma di ingannevole umanizzazione. Quando nei suoi scritti o nei titoli di alcune sue opere allude al mistero di una foresta, alle nuvole in cielo, al rumore del mare o al propagarsi della nebbia, egli vuole piuttosto richiamarsi a una concezione del tempo musicale che corrisponda ai ritmi della natura, alla sua imprevedibilità e mutevolezza. È la stessa imprevedibilità del tempo interiore della coscienza che sfugge a schemi prestabiliti, così come la musica di Debussy sfugge agli schemi di una forma musicale data a priori: natura e tempo musicale mostrano la loro segreta complicità e la natura con i suoi ritmi e la sua organicità rappresentò per lui il modello metaforico di una nuova musica.
Debussy e Satie, il saggio finale di Robert Orledge, ripercorre il lungo e ininterrotto rapporto fra Debussy e il suo vecchio amico Erik Satie. L’amicizia fra i due, complessa, a volte difficile e tuttavia duratura, si protrasse per circa un trentennio. Sono spesso messe in luce le ripercussioni psicologiche e professionali del rapporto fra due personalità dissimili (“due fratelli ai quali le vicende della vita avevano assegnato condizioni ben diverse” per citare le parole di Louis Laloy) oltre che le reciproche influenze culturali e musicali.
Il libro è preceduto da un’introduzione di Marco Gervasoni la quale precisa i termini del quadro storico-culturale della Francia di Debussy, delle divisioni originate dall’affare Dreyfus e della guerra culturale fra una destra che non si riconosce nella Rivoluzione e una sinistra repubblicana che di quella Rivoluzione è l’erede. Gervasoni insiste inoltre sulla necessità storiografica di abbattere le barriere fra storia politica e storia culturale e sottolinea quanto sia essenziale alla comprensione dei mutamenti storici, politici e sociali lo studio dei fenomeni culturali e artistici.

Jane F. Fulcher insegna Musicologia presso la University of Michigan.
Brian Hart insegna Storia della musica alla Northern Illinois University.
Caroline Potter insegna presso la Kingston University di Londra.
Robert Orledge è professore emerito della University of Liverpool.
Marco Gervasoni insegna Storia contemporanea all’Università del Molise.

Leggi la recensione di Giuseppe Scuri


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